Non ho mai nascosto la mia grande passione per l’hard rock, la psichedelia e, in generale, il sound degli anni ’60 e ’70 (oltre ad alcuni suoi successivi derivati), quindi la mia presenza all’unica data italiana degli Acid Mothers Temple non è certo una sorpresa.
Arrivo al Sinister Noise mentre gli Ape Skull sono già alla seconda canzone. Questo trio (formazione tipicamente settantiana) cattura subito la mia attenzione a causa del loro sound, il quale rende onore e giustizia -finalmente- a nomi come Led Zeppelin, Alamo, Grand Funk Railroad, Steppenwolf, Balletto Di Bronzo (primo periodo) e Orange Peel; altro elemento “insolito” è la presenza di un batterista/cantante, soluzione decisamente poco diffusa. Un hard rock venato di psichedelia tipicamente retrò quindi (qualcuno userebbe l’orrido termine “vintage”), ma in cui ho davvero trovato molta personalità. Quello degli Ape Skull non è un plagio, ma un sincero omaggio ad un periodo davvero molto florido dal punto di vista musicale (come ammettono loro stessi), vale a dire quello che va dal 1969 al 1972: lo dimostrano le loro riuscitissime cover degli Orange Peel e del Balletto Di Bronzo. Il loro debut album è d’imminente uscita, sembra per il mese prossimo: teniamoli d’occhio… questa band merita veramente.
Setlist:
1) Bluesy
2) Take me back
3) I got no time (Orange Peel)
4) Now I get you
5) Time And Wind
6) Hooka
7) Lazy
8) Un posto (Balletto Di Bronzo)
Il locale si riempie mentre attendiamo gli headliner, i giapponesi Acid Mothers Temple; nel frattempo assistiamo ad una simpatica minigag: il bassista Tsuyama Atsushimodificherà il ritornello di Yellow Submarine (messa in sottofondo al soundcheck) in Led Zeppelin, il tutto ovviamente storpiato dalla pronuncia giapponese. La particolarità di questa band, oltre all’enorme numero di uscite discografiche, è il vivere in una vera e propria comune (e anche questo è tipicamente settantiano).
Senza nessuna intro o preavviso, la band inizia a suonare e veniamo travolti da un’ondata di noise psichedelico alla massima potenza. L’impatto e il muro sonoro degli asiatici è davvero impressionante, agevolato anche dalle ridotte dimensioni della sala: sembra di trovarsi di fronte ad una versione estrema, e molto più aggressiva, di Gong e Hawkwind.
Con questi livelli di volume mi è stato impossibile riconoscere le singole canzoni, ma gli incastri tra ogni strumento, i vocalizzi in diplofonia (il chitarrista mi ha confidato a fine concerto di essere un grande fan degli Area) ed il picchiare continuo della batteria hanno portato il set ad un livello superiore, qualcosa tra il trip e l’esperienza mistica. Peccato sia durato così poco -solo un’ora suonata- e che il posto fosse poco indicato per un evento simile. Il tempo è letteralmente scivolato via, ma non ho il minimo dubbio: questo concerto è stato imperdibile, peccato per chi non ha presenziato.
Un ringraziamento speciale allo staff del Sinister Noise per averci ospitato durante questo live
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