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Yellow Moor – Yellow Moor (Prismopaco Records, 2014) di Simone NoizeWave

Yellow Moor prende spunto da una culla di fiori gialli che ha circondato la culla di questo disco, nato da un progetto improvviso e tempestivo pensato e messo in piedi da Andrea Viti, per anni bassista degli Afterhours, collaborate di un fottio di gente fica, tipo Mark Lanegan, per dire. E da Silvia Alfei: performer, artista visiva e autrice di testi. I due vengono da due strade diametralmente opposte, ma, come è ovvio che sia in natura, spesso ci si attrae e bla bla bla. Insomma, il punto è che il progetto Yellow Moor nasce quasi per osmosi da…

Score

Concept
Artwork
Potenzialità

Conclusione : Tranquillo

Voto Utenti : Puoi essere il primo !

10155260_1421097818140565_667537233_n[1]Yellow Moor prende spunto da una culla di fiori gialli che ha circondato la culla di questo disco, nato da un progetto improvviso e tempestivo pensato e messo in piedi da Andrea Viti, per anni bassista degli Afterhours, collaborate di un fottio di gente fica, tipo Mark Lanegan, per dire. E da Silvia Alfei: performer, artista visiva e autrice di testi. I due vengono da due strade diametralmente opposte, ma, come è ovvio che sia in natura, spesso ci si attrae e bla bla bla. Insomma, il punto è che il progetto Yellow Moor nasce quasi per osmosi da un altro progetto nato da queste due menti, i Dual Lyd, con una natura più concettuale, da sottofondo per performance teatrali e di videoarte; decisamente più sperimentale.

Così, davanti ad una distesa di fuori gialli, avviene il nuovo matrimonio artistico, vicino ad un’altra landa di altri fiori gialli, fuori dalla selettiva Milano, un casolare è il viaggio di nozze perfetto per chi ha voglia di natura, ritmi a misura d’uomo ed una dimensione decisamente diversa.
Il disco abbraccia fedelmente le premesse che lo hanno anticipato. L’ispirazione è quella del muoversi da una società che divora, che rende tutto veloce e volatile e tutta un’altra serie di argomenti che questi si portano dietro. Una carovana di cose che vengono cantate, vissute e combattute invano da vari decenni. Così anche il sound scelto è quello dei quei vari decenni addietro.
Ma non c’è solo la critica sociale e la vacuità, il disco contiene anche scene di vita vissuta , di un passato sulla cresta dell’onda, prima che scappasse la tavola da surf da sotto i piedi, nasce da qui Supastar. Il sound che ricorda il passato, sia personale che collettivo, è questa aspra critica a chi ti porta nell’oceano e poi si diverte dalla riva a guardarti. Poi, ovvio, che se non sai nuotare al mare non ci vai.
Out of the City è il Mark Lanegan, (o Nick Cave) che è in ognuno di noi, che bussa all’uscio. Tutto il disco, in effetti, è permeato di questa presenza. Ora è alla porta, ora al portone giù di sotto, ora è attaccato al citofono e al “Chi è?” risponde “Io”. Finchè in uno scatto in avanti, eccolo sul divano che ti guarda, in Covering Things  e nella title-track, dove troviamo due sfaccettature dell’ex cantante degli Screaming Trees.
Per il resto, l’album balla su sonorità decisamente alternative, figlie di ascolti Rock che risalgono alle epoche delle lotte, come se questo disco volesse essere una chiamata alle armi.
Ma non sappiamo se basta, se è davvero quello che significa Yellow Moor a poter dare una reale collocazione a questo disco in una valutazione complessiva. Non aggiunge niente di nuovo, ma quello che c’è di personale non si discute. Per il resto, mi è sembrato un disco in cui a livello musicale si è andato a pescare troppo indietro e troppo da altri. Sono solito dare una etichetta “è simile a… ” o “suona come…” è sempre una sottotraccia, più o meno visibile, ma in questo caso, il sacco di farina conteneva solo i testi e la filosofia del progetto e forse, rivedere un po’ le carte e andare a pescare nell’idea Dual Lyd, potrebbe togliere un sacco di castagne dal fuoco.
Ma ci potremmo essere, è solo una questione di equilibrio. Nel complesso, escludendo l’occhio vigile del critico che deve rompere il cazzo per ripagarsi delle sue frustrazioni, è un disco piacevole. Non è spigoloso e non contiene tracce da “sbuffata+skip”. Si vede che è stato cotto e mangiato, che è stato istintivo. Va bene anche questo.

 Tracklist: 

1. Castle Burned
2. They Have Come
3. Covering Things
4. Inside a Kiss
5. Across This Night
6. Seven Lizards
7. Ghost
8. Supastar
9. Out of the City
10. Yellow flowers


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Simone Vinci

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