George Bernard Shaw disse ‘le persone che riescono in questo mondo sono quelle che vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano, e se non le trovano le creano.’
Parliamo di ambiti diversi, ma l’aforisma appena citato incarna splendidamente lo spirito evocato dal disco “Taste Our Vodoo” di Lydia Lunch (al secolo Lydia Anne Koch ndr) in collaborazione con l’esperto francese del suono Philippe Petit .
D’altronde, sebbene la musica sia una delle massime espressioni della visione artistica, siamo ormai abituati dalla metà del secolo scorso a vivere le realtà musicali come un singolo ingranaggio della catena di montaggio, come porzione univoca di un paio di voci in catalogo, come fast food delle espressioni geniali.
Il prodotto preso in esame è invece quanto di più distante dall’ accezione capitalistica della parola ‘industria’.
Non basta andare troppo lontano per rendersi conto come, infatti, questo Taste Our Vodoo sia un’opera complessa, impregnata di spunti autentici, quanto di più artisticamente stimolante si possa trovare nel panorama musicale dedicato a questo ‘genere’.
Ma andiamo con ordine. I protagonisti di questa coppia di fatto sono due artisti a tutto tondo: la statunitense Lunch proviene da tempi lontani (muove i primi passi canori di un certo spessore negli anni ’70), quando le voci del mondo della musica erano anche protagoniste di altrettante pellicole cinematografiche e per di più inzuppavano d’ inchiostro pagine su pagine di libri autobiografici. Lydia Lunch è però anche qualcosa in più: autrice di pezzi recitati, narratrice, interprete di enorme spessore.
Philippe Petit è invece un self-made-man che da una decade o più vaga per il globo terracqueo diffondendo i propri impulsi musicali (per lo più elettronici), presi in prestito da una preparazione classica da soundtracker.
E se le premesse sono vento, il risultato è bufera. Il doppio LP si compone di sole quattro tracce (due per disco ndr), dalla durata media di venti minuti per brano. L’impostazione è chiaramente progressiva: come per altre opere di questo genere, la suddivisione in composizioni da 5 minuti l’una ‘strozzerebbe’ l’intero concept, castrandolo dell’obbiettivo finale proposto dai due artisti: la libera espressione.
Il Vodoo che Lunch e Petit ci fanno ‘assaggiare’ (la scelta della religione esoterica per eccellenza non è casuale) è scevro da qualsiasi costrutto imposto dall’ambiente (discografico?) circostante e viaggia sempre in un limbo immaginario delimitato dalle doti caratterizzanti dei due protagonisti: la voce recitata e senza veli di Lydia e l’atmosfera da film radical drammatico di Petit.
Ma come spesso è accaduto nei nostri spazi, per rendere bene l’ambient ricostruito dai due eccellenti artisti in pectore, proponiamo un esperimento pratico: stesi sul letto, occhi chiusi, volume medio basso e concentrazione massima su parole e musica. Sfidiamo chiunque a non paragonare questi momenti di straordinaria intensità, ad un flusso di pensieri in costante evoluzione simile a quello che precede il sonno profondo.
Le liriche di Lydia Lunch, ripercorrendo lo spaccato appena descritto, sono eteree, lamentose, sognanti, irriverenti (sul finire dell’ultimo brano viene ripetuto più volte ‘dio è una bomba, dio è un proiettile). Ritorna laconico il tema dell’isteria, già affrontato dalla Lunch nella prima fase della carriera, sia in solo, sia a livello di cortometraggi.
Si fatica a trovare un significato alle frasi proferite dalla cantante, ma l’interpretazione è talmente convincente da non lasciar spazio a dubbi: è tutto studiato a tavolino, l’importante è farsi trascinare dall’irresistibile Vodoo.
In vari intermezzi ricorre una filastrocca ubriacante dedicata al tema amoroso, impregnato delle medesime sensazioni appartenenti al sogno profondo. Eppure il flusso di pensieri attraversa anche momenti di rara lucidità, come all’ inizio del terzo brano quando Lydia abbandona il recitato isterico e sentenzia sempre più audacemente: ‘la libertà è un’allucinazione’. Colpiti e affondati.
Come in un vero e proprio scorrere neurale che precede la fase del sonno/sogno, gli stati d’animo che percorrono l’ascoltatore sono molteplici, dall’angoscia incalzante, alla tranquillità della veglia cosciente, all’orgoglio dell’ ubriachezza ideologica, alla disperazione della scurrilità linguistica.
Petit dal canto suo costruisce un muro sonoro volutamente ingombrante, che spesso tende a sovrastare i pensieri trascinanti della Lunch. I bassi che echeggiano come impronte in un villaggio fantasma, i violini stonati che graffiano ardentemente affinchè si rimanga ancorati al sogno (incubo?). Addirittura nell’ultimo pezzo, una cornamusa scomoda e annoiata.
Stilisticamente è impossibile non riscontrare delle leggere discontinuità fra le quattro tracce analizzate, ma aprire disquisizioni a riguardo parrebbe superfluo, come criticare in un quadro dal paesaggio uniforme, le singole pennellate.
In conclusione, riconoscendo la difficoltà di analizzare un disco del genere in poche righe (una decodifica approfondita richiederebbe un panegirico) , non possiamo esimerci dal compiere l’unico atto legittimo verso questa registrazione: mostrare rispetto per due artisti di calibro internazionale, che si fanno beffa ancora una volta di qualsiasi costrutto preconcetto.
Dopo aver assaggiato il Vodoo di Lunch e Petit siamo rimasti .. decisamente sconvolti! Il viaggio intrapreso in quest’ora di musica post-apocalittica è stato talmente coinvolgente da ricondurci al’ via’, incerti: sogno o realtà tangibile? Le armonie dissonanti e oniriche di Petit si intersecano perfettamente con l’interpretazione maniacale della Lunch, personaggio controverso ma senza maschere, nichilista per sua stessa ammissione, perfettamente a suo agio in un contesto atonale, senza accenti, di un altro mondo.
Se fosse un film, sarebbe ‘Alice nel paese del Vodoo’. Buon ascolto.
Tracklist:
Disc 1: VODOO I
VODOO II
Disc 2: VODOO III
VODOO IV