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Difficile coniugare talento, passione e forte interiorità? Non se si parla dei Soundrise! Leggete qui per iniziare a conoscerli. Intervista di Laura Dainelli e foto di Giovanna Marzari

NewIntage_res biggerE’con grandissimo piacere che noi di Relics-Controsuoni intervistiamo di nuovo i Soundrise, una talentuosa band progressive hard-rock di Trieste, a ridosso della loro tre giorni romana.

Per farvi conoscere da chi non vi ha mai sentiti, come presentereste il vostro album dal punto di vista musicale? Non mi interessano band di riferimento o a cui pensate di assomigliare: quelle contano per la storia personale di ognuno di voi ma non per presentarvi a nostro parere. Quello che ci interessa è il percorso che ha portato a questo album dopo anni che suonate insieme e musicalmente come lo presentereste:

Timelapse, uscito ufficialmente nel 2012, lo consideriamo un corollario del percorso di crescita di noi come band, poiché contiene brani scritti da noi in un arco di tempo che va addirittura dal 2004 al 2010. Arco di tempo all’interno del quale ci sono stati diversi cambi di formazione, spesso a malincuore ma con nuovi acquisti assolutamente meritevoli.
Rappresenta quindi un importante pezzo di vita e di incontro delle nostre strade come persone oltre che come musicisti, ed è anche per questo che riproporlo live è sempre un’emozione unica.

Si coglie molto dei grandi sia del rock sia del prog-rock nei vostri testi, ma riuscite a rielaborare il tutto in maniera eccezionale in quanto molto personale e diversa da tutto quanto già sentito: come si arriva a questo risultato? So che è Walter principalmente che scrive i testi e poi li rielaborate insieme: in che modo? Ognuno di voi quale contributo pensa di apportare? Che cosa lo rende unico e insostituibile nella band?
Ci consideriamo fortunati ad aver raggiunto un’armonia nel comporre e rielaborare i pezzi che forse mai avevamo raggiunto prima. Siamo un gruppo di persone che oltre ad essere amici lavora molto bene insieme, che è cosa rara in effetti. Non ci sono ruoli prestabiliti è la parola d’ordine tra noi è libertà di opinione e di espressione. Infatti, se è vero che è quasi sempre Walter (il cantante della band, n.d.r.) a buttare giù per primo la bozza di un nuovo pezzo ed il testo, è anche vero che sottopone a tutti noi altri le sue idee desideroso di ascoltare i nostri suggerimenti, anche critici se lo riteniamo. Perché le critiche se motivate e soprattutto costruttive e volte quindi a migliorare qualcosa, sono sempre bene accette, nonché di stimolo a dei pezzi ancora più strutturati secondo le sensazioni e le personalità di ognuno di noi. C’è un dialogo ed un confronto tra noi su ogni passaggio. E questo perché diamo un grande valore all’essere una band e al lavorare insieme, senza futili competizioni ma anzi con una complicità di fondo che deriva dal legame tra noi e soprattutto dall’obiettivo comune, far conoscere la nostra musica e quello che attraverso essa vogliamo esprimere.

Immagino che ognuno di voi abbia un percorso sia di vita sia musicale differente, pur se con una passione per la musica che vi accomuna, questa può presentare come sappiamo milioni di sfaccettature. Le vostre differenze sia caratteriali sia di esperienze vissute in che modo vi arricchiscono come band e capita che invece vi dividano o vi blocchino nel comporre?
Come è ovvio che sia, ci sono sia i punti in comune sia le differenze tra di noi, ma queste ultime sono molto più di sovente un arricchimento che un ostacolo ai fini del comporre insieme. Non è un caso infatti che i nostri pezzi siano un mix tra spunti di jazz di Walter, forte impronta rock (che è un genere che in modi diversi sentiamo tutti e tutti ce lo abbiamo dentro), ma senza per questo tralasciare altre sonorità, che possono essere, di volta in volta, più vicine all’organo o ai sintetizzatori, fino ad arrivare a spunti metal che sono il tocco personale di Massimo e che rendono l’insieme ancora più ricco e calibrato in modo particolare e da molti punti di vista.
Giorgio e Stefano sono arrivati nella band quando l’album era già stato registrato con i componenti precedenti a loro – che cogliamo l’occasione per ringraziare e salutare – ma non per questo hanno mancato di far sentire il loro personale contributo al suono dei pezzi. Anzi, se la dimensione live ha un’impronta leggermente differente rispetto al disco è proprio perché si tratta della dimensione in cui sono riusciti a far sentire il loro tocco personale in modo più evidente, e si tratta di una dimensione che si arricchisce ogni volta di significati nuovi, senza mai abbandonare quelli precedenti, ma come un’evoluzione dello stesso album che non è mai ripetitiva ma che ogni volta viene riproposta con le emozioni e le curiosità del momento preciso in cui si sta suonando. Il discorso che si faceva prima sulle sensazioni, tutto torna lì più spesso di quanto non si creda! 😉
Giorgio e Stefano vicini al rock ma anche ai sintetizzatori, e che come noi da prima, ma forse in modo ancora più di impatto, non rifiutano per nulla il rapportarsi a nuove sonorità, ma anzi li intriga la sperimentazione, così come sull’onda del loro percorso personale e delle sperimentazioni passate riescono ad operare sempre una scelta delle note e dei suoni che sfocia in un apporto compositivo molto armonico.
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L’uso molto attento di ogni strumento,coordinato accuratamente con gli altri in un crescendo di sensazioni dai contorni senza dubbio intensi ma a volte anche sfumati, non sempre comprensibili al primo impatto in ogni dettaglio se non nella loro intensità, dal vostro punto di vista cosa vuole comunicare? La domanda è: quali sono le sensazioni principali che voi apprezzate quando ascoltate un disco e che a vostra volta vorreste trasmettere assolutamente?
[Qui alcuni componenti della band prendono la parola singolarmente ed uno alla volta, come è naturale che sia dato il tenore della domanda, molto personale] Dario: Io sono molto istintivo nell’ascolto di un album, nel senso che l’aspetto che di gran lunga più mi colpisce e mi intriga, e non solo al primo ascolto, è l’aspetto emotivo. Intendo dire che do ascolto alle mie sensazioni più profonde su cui quel disco sta in qualche modo portando in modo particolare e quasi con urgenza la mia attenzione. E’ fondamentale per me il modo in cui la mia emotività è influenzata da ciò che sta ascoltando, e su quali punti viene stimolata. Più l’impatto emotivo/istintivo è intenso e forte più quel disco sarà oggetto per me di interesse e di voglia di approfondire, e viceversa chiaramente. Credo si possa chiamare “la sindrome del musicista sognatore”, siamo in molti ad esserne vittime 🙂
Walter: Io personalmente presto molta attenzione al connubio tra originalità e contenuti, molto raro da trovare in realtà ma proprio per questo cosi prezioso. Infatti, apprezzo moltissimo un prodotto non scontato e non perfettamente omologato a tutto il resto sentito e strasentito pur di “vendere sicuro”, ma al tempo stesso se si cade nell’estremo opposto dell’ originalità a tutti i costi prescindendo dai contenuti di qualità, ecco non condivido né apprezzo neanche questo. Quello che cerco è un armonico punto di incontro tra i due aspetti, e che il disco mi dia l’idea di qualcosa di vero e di non studiato a tavolino solo ed esclusivamente per il successo trascurando tutto il resto.
Stefano: Condivido quanto detto da Dario e Walter e aggiungerei che io ci tengo sempre a soffermare l’attenzione sulla qualità del prodotto piuttosto che fossilizzarmi su un solo ed unico genere solo perché di mio gradimento più di altri. Aprire l’orecchio e la mente infatti mi ha aiutato a capire come in diversi generi, persino nel pop tanto bistrattato, ci siano spesso sonorità estremamente interessanti da riproporre in modo simile anche in altri contesti.

Una domanda più specifica a Walter relativa alla sua esperienza di vita negli Stati Uniti (dove ha vissuto 5 anni circa per motivi di studio, n.d.r.) : in che modo questa esperienza di vita ha influito sul tuo approccio alla musica? Intendo sia nell’ascoltarla sia nel comporla.
Walter: Come già accennavi tu, ho vissuto lì per motivi di studio e non legati specificatamente alla musica, ma certo non posso negare che un ambiente internazionale del genere e musicalmente molto più ricco di opportunità dell’Italia abbia influito sul mio modo di ascoltare e comporre.
Infatti, se da un lato io adoro letteralmente la cultura italiana, d’altro lato, proprio nella mia adorazione, le riconosco tutti i suoi numerosissimi limiti, che è più che altro la mente di alcuni ad imporre, più delle leggi stesse. Infatti, la mente che si auto-ghettiza purtroppo è una delle più pericolose perché porta a galla comunque le “barriere generiche” culturali che al momento riscontriamo. Noi contrastiamo, poi, con l’idea che l’idea del diverso sia emarginata anziché valorzzata ed oggetto di rieducazione.
Dal punto di vista dell’ascolto, banalmente questa esperienza mi ha dato la possibilità di ampliare enormemente il raggio di band e autori che conoscevo, aprendo anche la mia mente a nuove influenze o a diversi spunti delle influenze musicali invece già consolidate nel loro genere. Dal punto di vista invece del comporre musica, se già scrivevo testi prima di partire, azzardandomi da sempre a farlo in inglese, dopo quegli anni lì di certo non si tratta più di un azzardo né tantomeno di un goffo tentativo, si tratta infatti di una lingua che padroneggio bene e che sento dentro di me, e da qui ovviamente ho ricavato, e ne ricavo tutt’ora, una decisamente maggiore capacità di scriverne, con ancora maggiore naturalezza.

Veniamo ora a questa esperienza romana: sono curiosissima di un vostro bilancio di questi tre giorni di live in zone diverse della città e con diverse modalità (prima in acustico, poi in un festival vintage prog ed ora infine in uno stile più rock e più simile al vostro album). Specifico che vi pongo volutamente la domanda al singolare perché nel rispondere non vi facciate influenzare dal fatto che il mio collega ed amico Stefano vi abbia dato una grande mano nell’organizzazione di queste tre serate. Vi voglio imparziali e sinceri, sui tre live da cui siete reduci ma anche sull’accoglienza romana a 360° 
E’ stata un’accoglienza grandiosa e indimenticabile quella che ci ha riservato Roma con la sua solarità e la sua voglia di vivere, nonché di vivere la musica, nelle sue tante sfaccettature intensamente, che è un qualcosa che a noi qui a Trieste un po’ manca, e non sapremmo dirti se sia solo per le diverse dimensioni delle due città. A Roma c’è qualcosa di speciale sia nelle persone che abbiamo incontrato e nella loro incredibile disponibilità sia nel modo in cui abbiamo riscontrato la partecipazione del pubblico nelle tre diverse serate che hai citato.
Per la precisione, abbiamo suonato al Circolo Artenoize in acustico, con un bel calore del pubblico ed un’atmosfera davvero riuscitissima; la sera seguente al New Vintage Prog Festival a Castel Gandolfo, insieme ai Magnolia e agli Ingranaggi della Valle a cui facciamo i nostri più sentiti complimenti. Un grazie anche qui allo staff organizzativo della serata, ben strutturata e per noi una meravigliosa opportunità di un’esperienza nuova che speriamo di replicare presto.
L’ultima sera romana invece è stata dedicata al Mavi Live, di fronte al Gasometro, in una affascinante e suggestiva location all’aperto e dove ci hanno davvero fatto sentire noi stessi perché abbiamo suonato in modo ben più rock e più vicino quindi anche all’album.
Ringraziamo tutti questi locali che ci hanno ospitato ed incoraggiato a suonare, Stefano Capolongo e tutto lo staff di Relics-Controsuoni ed in generale l’accoglienza calda romana, che lascia sempre un velo neanche tanto sottile di malinconia addosso a chi riparte da lì.
Un ringraziamento davvero di cuore anche ai fonici, che sono stati davvero in gamba e che con il loro lavoro hanno reso possibile tutto questo.

MAVI_02_resI Soundrise sono :

Walter Bosello

Dario Calandra

Massimo Malabotta

Stefano Alessandrini

Giorgio Pierobon

Per saperne di più e soprattutto ascoltare il loro album, che a noi ha lasciato estasiati basta segnarsi questo sito: www.soundrise.net

Non ve ne pentirete!


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Laura Dainelli

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